Alla ricerca dell’American Dream

Siamo tutti un po’ americani. Dal dopoguerra ad oggi nessun altro paese straniero ha avuto su di noi un’influenza culturale, sociale ed economica così forte e radicata come gli Stati Uniti.
Indossiamo i loro jeans, ci emozioniamo ascoltando le loro canzoni, guardando i loro film o l’ultimo episodio della serie tv preferita.
Quando vogliamo concederci un lusso o siamo di fretta cerchiamo il negozio con la M dorata, per mangiare velocemente un hamburger, condito da una ricca cascata di patatine fritte.
Conosciamo tutte le città più famose, anche se non riusciamo a collocarle bene geograficamente. New York, Boston, San Francisco, Los Angeles, Miami. Chi non ha mai voluto visitarle almeno una volta?
“All my life watching America” cantavano i Razorlight qualche anno fa. “Tutta la mia vita guardando l’America”. E non c’è dubbio che i film di Hollywood e le serie tv hanno unito le ultime generazioni di giovani, accomunati dal sogno di vivere almeno per un giorno come un americano: il college con l’armadietto personalizzato, il ballo di fine anno, vestirsi da mostro per Halloween per andare a chiedere dolcetti alle porte, noleggiare una macchina cabrio e percorrere chilometri di deserto sterminato, incontrando di tanto in tanto uno sperduto e puzzolente motel.
Magari prima si aspettava mesi o addirittura anni  per vedere la versione italiana di un telefilm da guardare rigorosamente seduti sul divano davanti la Tv, mentre adesso grazie alle nuove tecnologie si può vedere (o scaricare) ogni nuovo episodio quasi in tempo reale, aspettando solamente i sottotitoli in italiano per chi non riesce ancora a masticare la lingua inglese. Resta il fatto che intere schiere di giovani sono cresciute insieme a Happy days, Beverly hills 90210, Dawson’s creek, The O.C e molti altri ancora..
Altro che “pericolo islamico”! L’”American life”, lo stile di vita statunitense, è quello che più ha intaccato le nostre tradizioni, educato i nostri figli, scandito le fasi della nostra crescita, causando spesso anche reazioni negative.
Come spiegava il regista Jean Luc Godard, odiamo John Wayne perché in lui vediamo gli odiati reazionari americani, ma lo amiamo perdutamente quando indossa i panni del cowboy dei film di John Ford.
Ma più di ogni altra cosa gli Stati Uniti sono il luogo dove volgiamo lo sguardo quando si deve prevedere qualcosa, come una moderna sfera di cristallo: “E’ successo laggiù, fra poco lo vivremo anche noi”. Un televisore sempre acceso sul futuro prossimo, un passo avanti nella scala dell’evoluzione tecnologica: Facebook, l’Iphone, i tablet, Google,sono solamente alcune delle più recenti rivoluzioni tecno-antropologiche made in USA che hanno cambiato e stanno cambiando il nostro modo di vivere quotidiano.
L’American dream, quello “prodotto” dalla Rivoluzione d’Indipendenza e “disegnato” dalla Costituzione americana, “prevedeva” la speranza che attraverso il duro lavoro, il coraggio e la determinazione sia possibile raggiungere un migliore tenore di vita e la prosperità economica. Scrivo al passato perchè adesso sembra sempre di più un’utopia. Un’economia legata alla degenerazione della finanza che ha causato la crisi mondiale, una democrazia sempre più appannaggio dei lobbysti e dei grandi network di potere, un conflitto sociale continuo che rende difficile una migliore integrazione.
Ma c’è ancora un luogo dove l’American dream è forte e rigoglioso ed è il campo dell’innovazione e della ricerca. Un nuovo Rinascimento dove un singolo individuo, grazie all’iperconnettività resa possibile dalle scoperte del tempo presente, ha una grande capacità di autodeterminarsi e di coltivare le proprie doti, con le quali riesce a vincere la Fortuna (nel senso latino, “sorte”, oggi potremmo parlare di “crisi”) e dominare la natura (nel caso di oggi le difficolt àoccupazionali) modificandola, contribuendo alla crescita della società.
Nascono così, da un’intuizione, le nuove società dominatrici della tecnologia: i già citati Facebook, Google, ma c’è anche Twitter, Instagram e le migliaia di altre iniziative di successo, che vanno oltre il settore informatico.
La potenza delle idee, aiutate da un contesto che le aiuta a svilupparsi: non solo privati che investono sulla conoscenza dando credito a perfetti sconosciuti, ma anche un mondo accademico che stimola e “coccola” i ricercatori. Harvard, Stanford, M.I.T, sono solo esempi di una brillante gestione del patrimonio cognitivo, dove la raccomandazione non è “spintarella”, ma premiazione del merito e degli sforzi.
E qui entro in gioco io, dato che per il mio dottorato devo passare 6 mesi al Massachussets Institute of Technology (MIT per gli amici), al Center for Civic Media, Media Lab. Un’occasione che non potevo rifiutare.
Ecco perché dovrò “sospendere” la mia stretta (anche troppo) connessione con la politica, per ritrovare il mio sogno, che non è né quello americano, né quello italiano (semmai ne avessimo uno) ma uno molto più sobrio e umile: cercare di trovare nuovi stimoli, nuovi contatti, nuove esperienze. Semplicemente migliorarsi un po’ . Restare connessi con la città di Pisa sarà difficile, ma credo che il bagaglio di conoscenze e di esperienze che porterò “a casa” possa superare questo momentanea separazione. E poi, in effetti, la politica ci sarà anche qui, con una campagna elettorale spietata, dove proprio oggi i sondaggi danno incredibilmente in vantaggio il repubblicano Romney, un ultramiliardario degno seguace del bushismo più stupido.
Proverò a raccontarla questa esperienza oltreoceano, cercando di condividere le mie impressioni, i miei pensieri, le mie esperienze, gli aneddoti più strani, e perché no, raccontando qualcosa del lavoro che sto facendo. Ma soprattutto cercherò di rispondere a una semplice domanda: l’America è davvero come ce la dipingono gli sceneggiatori? O la realtà supera l’immaginazione?
Per scoprirlo non c’è altro da fare che aspettare la prossima puntata. Stay tuned. And God bless America.

Boston's harbour

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