#Pisa Quella volta del fallo di gomma in consiglio: Ahi serva Italia, di dolore ostello… non donna di province, ma bordello!

Un fallo di gomma nero sbattuto violentemente su un tavolo. Credo che in nessun consiglio comunale si sia mai arrivati a tanto per una protesta.
Durante la discussione sull’IMU, una trentina di manifestanti sono entrati nella torrida sala che ospita temporaneamente il consiglio comunale, per protestare contro l’ordinanza antiprostituzione del sindaco: dal 5 giugno fino al 30 settembre nei territori comunali di Pisa, San Giuliano e Vecchiano, è possibile multare chi si ferma o affianca chi si prostituisce. L’ordinanza vieta poi di sostare lungo le strade in atteggiamenti e vestiti inequivocabili che lasciano intendere il mercimonio del proprio corpo. La protesta era centrata su questo punto: ironicamente molti ragazzi erano vestiti in maniera “provocatoria”, con camice sbottonate, abiti scollati e parrucche colorate, per deridere la parte più controversa dell’ordinanza.
Peccato che la “folkloristica” protesta sia un po’ degenerata, con le urla e le grida di manifestanti e consiglieri, innervositi dal caldo tropicale che imperversava in quell’angusta sala. Per evitare ulteriori “surriscaldamenti” la presidente del consiglio ha sciolto anticipatamente la seduta, con l’impossibilità di portare a termine argomenti importanti come la discussione sulla questione abitativa o le altre proposte in programma.
Può una protesta dettare lo svolgimento dei lavori del consiglio comunale? Rovesciando la situazione, cosa avrebbero detto i manifestanti se durante una possibile discussione sull’ordinanza la seduta fosse stata interrotta da un gruppo altrettanto numeroso di persone favorevoli all’ordinanza? Le proteste sono legittime, ma questa irruzione in Consiglio Comunale non ha reso possibile un sereno confronto sui motivi di questa ordinanza.
E per me un cazzo di gomma nero sbattuto sul tavolo è la fine di ogni possibile dialogo. Non per colpa dell’oggetto, ma per la violenza usata. Poteva essere una croce, un rosario o qualsiasi altra cosa. Chi prevarica l’altro con urla e grida è capace di stare solo nella politica-circo.
La mancanza di discussione sull’argomento non ha permesso di spiegare lo scopo che c’è dietro questo provvedimento.
Premetto che non sono un grande fan delle ordinanze. Le ho criticate molto in passato, soprattutto quelle più “creative”, frutto di un leghismo incapace di dare soluzioni concrete. Ora che quella stagione è definitivamente passata (i provvedimenti non temporanei sono stati dichiarati incostituzionali), le ordinanze restano uno strumento dell’amministrazione per cercare di risolvere problemi, più o meno grandi, con il supporto delle forze dell’ordine. E la finalità dell’ordinanza antiprostituzione non è quello di dare una propria visione di cosa è “decoroso” o “indecente”, passaggio scritto magari troppo in fretta, ma colpire la tratta delle schiave del sesso, che vengono forzate alla prostituzione. In una gara a chi è più svestita per attrarre clienti, costrette a un marketing corporale che non emancipa la donna ma la mercifica, l’ordinanza non ha la forza e la volontà di colpire l’essenza del mestiere più antico del mondo, ma di limitarne la portata, punendo con multe i numerosi clienti che alimentano il fenomeno. Senza dimenticarci che il provento di tutte le multe non andrà a rafforzare le casse del Comune, ma in progetti sociali che garantiscono la protezione delle prostitute che decidono di uscire dal giro e temono la vendetta dei protettori (progetti come Sally People e DIM – donne in movimento – che ha accolto 560 ragazze, molte delle quali accompagnate in inserimento lavorativo). La speranza è che ci possa essere un “rallentamento” del mercato del sesso, in attesa che ordini istituzionali superiori, soprattutto il Governo, possano dare un impulso forte per superare il problema.
Una proposta forte, ma necessaria e praticabile, è la regolarizzazione della professione. E’ inutile contrastare il fenomento della prostituzione sulla strada, ma poi chiudere gli occhi davanti alle migliaia di piccole case chiuse che si trovano in ogni centro cittadino. Occhio non vede, cuore non duole? Eppure una regolarizzazione della professione può far emergere tante realtà clandestine che possono essere messe sotto controllo medico (e fiscale, che in tempi di crisi non guasta). Proteggere la donna con un contratto di lavoro che specifica esattamente quali siano i suoi diritti, e quali siano gli obblighi nell’ambito della pratica professionale.
In questo modo si spera di assistere al progressivo rinsecchimento dell’intero ramo di malavita che normalmente ruota attorno alla prostituzione, con tutto il marcio che ne deriva.
Con la legalizzazione del mestiere invece non è più possibile ricattare una donna, obbligandola a prostituirsi per due euro, quando questa può guadagnare cifre superiori lavorando alla luce del sole, protetta dalla legge e dalle stesse istituzioni che una volta la perseguitavano.
Siamo pronti a guardare oltre il problema dell’ordinanza e ripensare un approccio completamente nuovo di fronte all’eterno (e irrisolvibile) fenomeno della prostituzione?
D’altra parte non è l’Italia stessa, come disse Dante nel VI canto del Purgatorio, un grande “bordello”?


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