Keynes è morto nuovamente?

In settimana è stata votata dal Senato una modifica alla Costituzione che impone il pareggio di bilancio, ovvero non si può spendere un centesimo di più di quello che entra nelle casse dello Stato. Il saldo finale non può essere negativo. Questo che può sembrare un banale provvedimento di serietà e di responsabilità ha invece ricevuto aspre e feroci critiche da parte di economisti e politici che si definiscono “keynesiani”, ovvero seguaci dell’economista inglese John Maynard Keynes. Cosa dice questo professore più citato da morto che in vita, soprattutto durante questi lunghi anni di crisi?
La teoria più citata di Keynes è quella dello stimolo in fase recessiva. Ovvero una iniezione di liquidità da parte dello Stato per finanziare opere pubbliche, aumentare il sostegno agli ammortizzatori sociali e dare stimolo all’economia. Tutto questo a discapito di un momentaneo deficit nei conti pubblici, ma in previsione di una crescita nel lungo periodo, grazie al mantenimento del potere d’acquisto.
Il rischio della “non spesa” è quello di peggiorare le cose, tentando di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa già di per sé debole, creando un clima di sfiducia, ma soprattutto tolgono “liquidità” ai cittadini, oppressi da tasse e carovita. Inoltre anche nei periodi di espansione dell’economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica, perché gli incrementi degli investimenti a elevata emunerazione – anche quelli interamente finanziati dall’aumento del gettito – sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo.
Krugman, economista e premio Nobel, ritiene inoltre che l’inserimento in Costituzione del vincolo di pareggio del bilancio possa portare alla dissoluzione dello stato sociale, perché se bisogna tagliare la spesa pubblica per fare investimenti o altro (situazioni di emergenza) i primi programmi a saltare saranno quelli per la sanità, la scuola, la ricerca. Un po’ come è stato fatto fino ad adesso.
Capite che pur non essendo economista ci sono diversi punti che mi fanno dubitare fortemente di questa scelta da parte della maggioranza che sostiene Monti. Inoltre sospetto che sia una imposizione della Germania, che vuole costringere i paesi cosiddetti “club Med” ( Italia, Spagna, Grecia, Portogallo ) a una maggiore severità e rigore nei bilanci.
Festa finita per Keynes e i suoi seguaci? Siamo destinati ad anni di politiche di austerity che smantelleranno lo stato sociale come lo conosciamo?
Non lo so, l’economia è una scienza e come tale va studiata a fondo. Ma non è la fine di Keynes, una via d’uscita c’è e forse questa severità nei bilanci degli stati nazionali può aiutare anche nel processo di integrazione dell’Europa. Al momento la BCE, la Banca Centrale Europea, è limitata nelle sue funzioni. Non può comprare direttamente il debito degli stati e non può aiutarli direttamente ad affrontare le crisi economiche con iniezioni di liquidità. Questo perché i tedeschi si sono sempre opposti all’allargamento delle prerogative, per garantire la sovranità fiscale dei singoli stati. Eppure stiamo vedendo che questa impostazione sta fallendo. Se la BCE fosse investita del compito di stabilizzazione durante le crisi di liquidità e di promozione della crescita allora potrebbe stimolare la spesa pubblica, sotto mandato dell’Unione Europea. Questo comporterebbe un cambiamento di paradigma, che potrebbe spingere a cercare quell’unione politica, oltre che finanziaria, che stiamo cercando di ottenere invano da molti anni. L’UE dovrebbe diventare non più solamente il controllore degli Stati “spendaccioni”, ma farsi promotrice di una crescita sociale ed economica che porta vantaggi a tutti i membri dell’Unione.
Insomma alla fine l’idea del pareggio in bilancio non è tanto “geniale”, come dicono economisti di lavoce.info. Keynes e lo stato sociale non moriranno nuovamente solo se realizzeremo finalmente un’Europa unita politicamente, e lo potremo fare se le varie destre che guidano adesso le decisioni se ne andranno per far posto a nuove idee, nuove prospettive e nuove visioni. Adesso fermiamo l’emorragia, poi urge una nuova cura per evitare che il malato (in questo caso il sistema economico globale) possa sputare ancora sangue.


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