L’Italia tra crisi e cambiamento

Il mio intervento al 1° meeting annuale di Eunomia:

L’Italia tra crisi e cambiamento. Le due parole viaggiano insieme, dato che da una situazione di difficoltà ci si aspetta qualcosa che possa cambiare la situazione in meglio. Uno stimolo a uscire al più presto da un’emergenza.Ma se la crisi è unica, il cambiamento ha diverse sfumature e modalità. Ci possono essere cambiamenti epocali, che possono radicalmente modificare il volto di una nazione , cambiamenti minimi che cercano di stabilizzare e confermare lo status quo, c’è la famosa citazione dal “gattopardo”: cambiare tutto per non cambiare niente. Ma qualunque sia la natura del cambiamento,qualunque sia il colore politico , c’è sempre qualcosa che manca: la visione di un futuro a lungo termine, un segnale di speranza per le nuove generazioni. Il divario generazionale è la reale emergenza del paese. Parafrasando un film dei fratelli Cohen, “non è un paese per giovani”.

I rischi sociali – come perdere il lavoro, non avere alcun aiuto dello Stato, avere una paga da fame, probabilmente non avere una pensione o averla sotto la soglia di povertà, non ricevere formazione – sono tutti sulle spalle dei giovani.Una responsabilità troppo grossa per noi. È un problema totalmente ignorato dai governi passati, convinti sostenitori del welfare dei genitori e dei nonni. Ma la disoccupazione non è solo di quelli che stanno ancora a casa di mamma, quelli che Padoa Schioppa in un’infelice battuta ha dichiarato “bamboccioni”. Ci sono tantissimi giovani lontani da casa centinaia (migliaia nel caso dei lavoratori immigrati) di chilometri che hanno perso lavoro e non riescono ad andare avanti.
La disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli oltre l’emergenza: fra i giovani (15-24 anni) il tasso di disoccupazione sale al 28%. Il più alto d’Europa. Quasi 10 punti in più della media europea. Inoltre c’è l’anomalia dei 2 milioni di neet , ovvero i giovani che non sono né occupati in un lavoro né inseriti in percorsi di studio o formazione («neither in employment, nor in education or training»). In Italia sono un quinto dei giovani tra i 15 e i 29 anni, in larga parte diplomati e laureati:proprio le figure chiave per il rilancio dell’economia di un Paese. Invece non fanno semplicemente niente o sono ai margini della legalità , arricchendo le fila dei lavoratori “in nero”.Queste considerazioni ci fanno capire che come dice Irene Tinagli,” il vero buco nero del nostro Paese non è solo e tanto la struttura economico-produttiva, ma il sistema della formazione e la transizione dal mondo dello studio a quello del lavoro”. Questo è un dato devastante, un dato che dovrebbe far tremare ogni governo, ma che è terribilmente sottostimato. Un paese che non investe sui giovani è un paese destinato a morire.

E poi c’è un argomento, forse il più lontano dal concetto di “politiche giovanili” ma che diventerà sempre più importante per noi con il passare degli anni : le pensioni.Non so se avete dato un’occhiata agli ultimi dati della riforma Sacconi-Tremonti: nel 2050 si andrà in pensione a 70 anni. Non so voi ma questo dato mi sconforta un po’ visto che l’aspettativa di vita è adesso 79 anni.Non lottare ora significa pentirsene poi. Non siamo abituati a rendere conto al tempo, ma la vera abilità politica è di prevedere i disastri sociali per gestirli e combatterli in anticipo. La riforma delle pensioni necessità di maggiore flessibilità per rispondere alle diverse esperienze di vita, se non facciamo qualcosa adesso ne sentiremo il peso troppo tardi.

Ma se vogliamo tornare al presente ci sono migliaia altri esempi di ingiustizia sociale che testimoniano come il welfare di oggi non sia studiato per le nuove generazioni. Il problema della casa. Tutti vorrebbero una casa di proprietà. Ma i mutui sono concessi solo a chi può dare garanzie e in tempi di lavoro flessibile è difficile se non impossibile trovare precari che possono dare alle banche quello che chiedono. Deve intervenire ancora una volta la famiglia, facendo sì che un genitore faccia da garante.Ma è giusto un welfare che dipende dalla famiglia e dalla sua condizione sociale? Non crea forse maggiori disuguaglianze un sistema che premia chi parte da condizioni favorevoli avendo una famiglia benestante e lascia tutti gli altri indietro?

Da poco sono diventato zio di un bellissimo bimbo di nome Pietro. Anche se non ho la responsabilità di essere padre, avendo un ruolo istituzionale ho la responsabilità politica di dare risposte a domande ancora inascoltate. Che Italia vorrei lasciare al mio nipote? Che prospettive possiamo dare ai bimbi nati oggi come Pietro ? Dimenticarsi dei giovani significa aumentare i problemi di coesione sociale. Come dice Tito Boeri “non può esserci coesione sociale in un Paese che non dà speranze ai giovani”.

Disoccupazione altissima, pensioni che forse non arriveranno mai, giovani che non lavorano e non studiano, ne esce un quadretto abbastanza desolante.Può un’associazione come Eunomia far qualcosa per provare a cambiare la situazione attuale? Certo, ne sono convinto. Intanto deve continuare a fare quello che è abituata a fare : formare le persone. Eunomia è un master di alta formazione politica e deve dare gli strumenti per capire il presente, in modo da poter costruire un futuro possibile. Solamente questo è già un grandissimo aiuto.

Ma il vero potenziale di Eunomia è la capacità di far rete. Berlusconi e Bersani non potranno mai rilanciare l’idea di collaborare per il bene del Paese, sono troppo “sputtanati” e gli elettori non capirebbero. La nuova generazione di politici e amministratori può invece fare molto, come è stato già dimostrato nelle precedenti edizioni del Master. Ovviamente ci saranno visioni differenti, ma anche idee condivise ed espresse in un linguaggio lontano da quello della politica attuale. Un linguaggio sereno, passionale e trasparente. Non perdiamo questo prezioso capitale. Troviamo gli strumenti e le forme adatte per costruire qualcosa che possa dare rilancio al Paese. Persone che non sono prigionieri delle vecchie paure e dei vecchi odi, che possono lasciarsi alle spalle i vecchi slogan, le vecchie delusioni e i vecchi sospetti.

Noi non possiamo rinunciare a provare, perchè, come dice Sartre, siamo responsabili di quello che non sappiamo evitare.


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